Topolino 3571: delusione al castello

Questo numero di Topolino è forse uno dei più esemplificativi della direzione Bertani, per fumetti, rubriche e impostazione generale. Solo tre storie, tutte lunghe, tutte avventure di ampio respiro e con una particolare cura grafica. Rubriche scarse, e quasi sempre contigue a ciò di cui si tratta nelle storie. Addirittura le testate hanno con la produzione inedita di Topolino uno stretto rapporto: delle quattro vicende (contando anche l'autoconclusiva finale) di quest'albo, tre verranno presto ristampate in volumi di lusso, da fiera, libreria o fumetteria.

Le conseguenze di una tale visione del settimanale sono tante e difficilmente analizzabili in poche righe: sicuramente la qualità media delle storie ne guadagna, soprattutto nell'impatto visivo dell'opera, che, a differenza di quanto poteva accadere anche solo qualche anno fa, offre sempre disegni e colorazioni ottimi, se non stupendi. Nonostante ciò, le sceneggiature non sono sempre all'altezza, e spesso anche le storie più pubblicizzate e attese deludono le aspettative. Allo stesso modo mi dispiacerebbe che i redazionali, così autoreferenziali e mirati, si nota, a far affezionare il lettore al fumetto in sé, a farlo diventare un cultore (e quindi un acquirente fedele), perdessero quella capacità che Topolino ha sempre avuto, di essere «specchio dei propri tempi», per citare il direttore stesso nell'editoriale del celebrativo 3567.

Ma non sono catastrofista: so che numeri di Topolino di questo tipo, in cui l'approccio bertaniano e paniniano si fa particolarmente sentire, sono solo una parte delle cinquantadue uscite annue. Il prossimo 3572, ad esempio, ospiterà un vip paperizzato con relativa rubrica: ciò dimostra che il libretto rimane comunque un prodotto vario e molteplice.

Paperinik in: Trappola al castello (episodi 1 e 2 di 2)
Soggetto e sceneggiatura di Marco Gervasio
Disegni e chine di Emmanuele Baccinelli
Colori di Irene Fornari

Topolino e la Spectralia antartica (episodio 2 di 3)
Soggetto, sceneggiatura e disegni di Casty
Chine di Michela Frare
Colori di Manuel Giarolli

Blue Peaks Valley - Un giornalista
Soggetto, sceneggiatura e disegni di Corrado Mastantuono
Chine di Alessandro Zemolin
Colori di Irene Fornari


Mi riservo di commentare la Spectralia antartica a storia conclusa, dato che ormai manca una sola puntata e non credo le mie considerazioni muteranno o si amplieranno molto rispetto ad oggi. Una menzione per la serie di autoconsclusive Battista maggiordomo esistenzialista, sopra citata indirettamente, a firma Roberto Gagnor e Simone Tempia per i disegni di Carlo Limido (Lìmido o Limìdo?): sono quasi sempre battute divertenti e intelligenti, con le quali, insieme al Che aria tira a... di Ziche, inizio a sfogliare il settimanale per poi immergermi nella lettura, dalla prima all'ultima storia.

La prima storia, ecco. Nel suo nuovo corso, il Paperinik di Gervasio non è né carne né pesce: si prende troppo sul serio per essere il supereroe cittadino delle storie anni '90/2000 ma neanche osa abbastanza da essere un Diabolico vendicatore. Ci commenta zelantemente ogni sua azione (come se non vedessimo che ti sta precipitando un quadro addosso!), si fa coraggio chiamandosi per nome, ci ricorda ogni due tavole che lui è Paperinik, lui è l'eroe, lui è coraggioso.

I rapporti che Gervasio tenta di intessere tra il protagonista, il tenente e Zio Paperone sono giusto accennati e per nulla convincenti. Quella di Paperinik è una narrazione di grandi conflittualità, sociali, relazionali, e interiori, le quali in questa vicenda si riducono a una serie di sguardi in cagnesco e battutine mal riuscite tra tre personaggi pieni di sé e per ciò fastidiosissimi. Paperone, per fortuna nostra (sua meno), scompare a metà della storia con un atteggiamento quasi macchiettistico per ricomparire, con un intervento altrettanto vuoto, sul finale.

L'aura di ostilità, di conflitto, l'azione di riscatto che anima il personaggio martiniano a cui Gervasio dichiaratamente si ispira va a perdersi nel tono generalmente banale della storia. La vicenda mi sembra superficiale, stentata quasi, mal curata. Ci saranno sicuramente limitazioni editoriali che impediscono certi comportamenti al limite, ma perché ad esempio Paperinik se ne rimane a guardare l'antagonista di turno, che è già un di più rispetto alla dinamica di conflitto PK-ZP, mentre questi viene arrestato, quando potrebbe uscire di scena, disinteressato com'è a «difendere il deposito e fare la ronda notturna sui tetti», e tornarsene a casa?

«Il mio Paperinik non difende il deposito e non fa la ronda notturna sui tetti. Paperinik/Paperino la notte dorme nel suo letto. E se esce di casa e [sic] per "qualcosa di personale"», diceva Gervasio sul Papersera qualche anno fa. 
Perché allora la questione del «sono stato incastrato», che dovrebbe essere dunque al centro della vicenda, viene accantonata quasi subito, per lasciare spazio a qualche vuota scena d'azione, per me molto meno interessante e oltretutto fastidiosamente commentata dall'eroe, e ad un pesantissimo e poco probabile spiegone finale?

Della Trappola al castello si salvano i ragazzi di Area 15, gradita sorpresa; i disegni di Bacci, che a dire il vero in alcune pose mi ha convinto poco, come nella stretta di mano sul finale; l'articolo che le segue, invero molto interessante.

Chiude il numero l'ultimo episodio della serie Blue Peaks Valley dedicata alle origini del quotidiano dello Zione, il Papersera, che abbiamo scoperto essere ben più antico di quanto pensassimo. Un Mastantuono davvero in forma orchestra una vicenda ricca di sottotrame che convergeranno poi nel soddisfacente finale. 
Un giornalista è una storia profonda: tramite il suo protagonista Paperone, che qui risulta essere un personaggio dinamico, in continua discussione e, dunque, dannatamente interessante, offre al lettore spunti di riflessione per nulla banali e problemi morali scomodi e per questo stimolanti.

Ottima anche la caratterizzazione dei personaggi secondari: sia grafica, con aspetto fisico e movenze sempre eloquenti e piacevoli, sia testuale. Mastantuono non ci fornisce dei tipi, delle maschere, ma delle persone che riflettono, provano emozioni e agiscono di conseguenza. Tutto il processo "umano" (di Pet, Sebastien, Spurio, ad esempio) ci viene mostrato con efficace limpidezza, nei dialoghi mai fuori posto e nelle inquadrature, talvolta piene d'azione, talvolta di desolazione (pagg. 145-146), di rimorso (pag. 137), o infine di speranza, come nelle ultime due vignette doppie, che ritraggono il futuro di Paperone, indicato dalla freccia "Calisota", su cui piove un acquazzone ma splende, al contempo, un sorridente arcobaleno.




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