Don Abbondio paradigma comportamentale

 Don Abbondio non ha di che sentirsi lusingato dalle dimostrazioni d'affetto che il Manzoni esprime nei suoi confronti: i numerosi «nostro» a lui riferiti o le ripetute manifestazioni d'empatia sono conseguenza della posizione di Abbondio rispetto alla linea che, nella mente dell'autore, separa gli eroi e gli umili dagli antagonisti, i biasimevoli o malvagi.

Don Abbondio, ovviamente, sta dalla prima parte. Il nostro curato appartiene infatti a quella schiera di eroi che hanno come attributo un'emozione, una qualità, uno stato d'animo. Così Achille dell'ira, così Odisseo dell'astuzia, come Abbondio della rassegnazione: il sentimento più intelligente, poiché frutto di un analitico e consapevole ragionamento (nel caso del curato, «comprendere che la peggiore condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli [...]»); al quale segue una doverosa scelta, che segna una volta il corso degli eventi affinché non si stravolga più (obbedire «ai parenti, che lo vollero prete»).

Don Abbondio, nella minacciosa tempesta che prospettasi essere la vita, tira i remi in barca, e probabilmente scende sottocoperta a leggere. Come biasimarlo? E soprattutto, come ridere di lui? Manzoni mai avrebbe osato. Non si confonda la consueta e immaginifica simpatia che l'autore usa nella narrazione con la riduzione del curato a macchietta o tipo comico.

In Abbondio troviamo la rappresentazione di una chiave di lettura dell'esistenza, di uno stile di vita, che Manzoni sicuramente conosceva bene, perché diffuso anche a suo tempo, e che era interessato a descrivere; del quale, però, l'autore mostra i difetti nel terribile e inaspettato incontro coi bravi.

Quando un'onda di tale portata lo investe, il curato si rende conto di non avere più il controllo dell'imbarcazione, e inizia ad annaspare.

Cerca di mantenersi fedele alla sua «neutralità disarmata», fallendo: con i più potenti annega, con chi è più debole di lui usa come arma la parola, forte della cultura e di un non trascurabile prestigio sociale di chi la pronuncia. Nel dialogo, quello con Renzo, in cui Abbondio si rende prepotente, Manzoni lascia parlare i personaggi, non commenta, ed usa un solo aggettivo riferito a Don Abbondio, «manieroso», chissà se in senso positivo o negativo.

Il silenzio dell'autore può spiegarsi solo con la volontà di mostrare la vera natura umana. Di lasciar parlare i personaggi sulla scena, perché hanno da dire tanto quanto gli uomini. E di constatare che tra Renzo e Abbondio avviene ciò che accadrà ai capponi in futuro, e accade a tutti gli umili che si trovano ad essere «compagni di sventura»: battibeccare, senza curarsi del proprio vero oppressore.

Un comportamento del genere è perdonabile, come alle quattro povere bestie legate, anche ai due personaggi; e ad Abbondio soprattutto, che mai s'era trovato in una tale situazione.

Pur non biasimandolo, Manzoni nota e fa notare i punti deboli dello stile di vita di Don Abbondio, che aveva precedentemente raccontato con gran convinzione, e passa oltre, proseguendo col suo racconto in quella che sembra la ricerca di un modello comportamentale da seguire, una continua scoperta dei suoi stessi personaggi.

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